"Esiste un Vangelo superiore: il Vangelo del Dolore".
Giovanni Paolo II
Scozia, 1745. Qualunque cosa accada, io ti aspetterò. Con questa promessa Deirdre ha detto addio ad Alexander alla vigilia della rivolta giacobita guidata da Carlo Stuart. La guerra, tuttavia, distrugge insieme ai sogni di indipendenza degli Scozzesi anche le speranze dei due innamorati. Tornato ad Aberdeen, Alexander scopre infatti che Deirdre ha sposato un altro uomo, il lealista Sean, e che ha reciso ogni legame con il passato. Ma è davvero così? Oppure è stata costretta a quelle nozze? Alexander si ritrova ad affrontare un nemico più insidioso di quelli incontrati sul campo di battaglia. E a combattere per la sua vita e per quella della donna che ama.
La sera era triste e fredda; di tanto in tanto soffiava un buffo di tramontana, e faceva piovere una spruzzatina d'acqua fina e cheta: una di quelle sere in cui, quando si ha la barca al sicuro, colla pancia all'asciutto sulla sabbia, si gode a vedersi fumare la pentola dinanzi, col marmocchio fra le gambe, e sentire le ciabatte della donna per la casa, dietro le spalle. I fannulloni preferivano godersi all'osteria quella domenica che prometteve di durare anche il lunedì, e fin gli stipiti erano allegri della fiamma del focolare, tanto che lo zio Santoro, messo lì fuori colla mano stesa e il mento mento sui ginocchi, s'era tirato un pò in qua, per scaldarsi la schiena anche lui.
glia di Lissa (3° guerra d'Indipendenza nel 1866); La "Provvidenza" naufraga nuovamente.
Il libro "Cuore" è un romanzo scritto da Edmondo De Amicis. Fu un grande successo, tanto che De Amicis divenne lo scrittore più letto d'Italia. L'ambientazione è la Torino dell'indomani dell'unità d'Italia e più precisamente tra il 1878 (anno d'incoronazione del Re Umberto I) ed il 1886 (anno della pubblicazione), il testo ha il chiaro scopo di insegnare ai giovani cittadini del Regno le virtù civili, ossia l'amore per la patria, il risoetto delle autorità e per i genitori, lo spirito di sacrificio, l'eroismo, la carità, la pietà, l'obbedienza e la sopportazione delle disgrazie.

lta un uomo e una donna, che già da molto tempo desideravano invano un figlio; finalmente la donna potè sperare che il buon Dio esaudisse il suo desiderio. Sul di dietro della casa c'era una finestrina, da cui si poteva guardare in un bellissimo giardino, pieno di splendidi fiori ed erbaggi; ma era cinto da un alto muro e nessuno osava entrarvi, perchè apparteneva ad una maga potentissima e temuta da tutti. Un giorno la donna stava alla finestra e guardava il giardino; e vide un'aiuola dov'erano coltivati i più bei raperonzoli; e apparivano così freschi e verdi che le fecero gola e le venne gran voglia di mangiarne. La voglia cresceva ogni giorno, ma ella sapeva di non poterla soddisfare e dimagrì paurosamente e divenne pallida e smunta. Allora il marito si spaventò e chiese: "Che hai cara moglie?" "Ah," ella rispose, "se non riesco a mangiare di quei raperonzoli che son nel giardino dietro casa nostra, morirò". Il marito, che l'amava, pensò: "Prima di lasciar morire tua moglie valle a prendere quei Raperonzoli, costi quel che costi". Perciò al crepuscolo scavalcò il muro, entrò nel giardino della maga, colse in tutta fretta una manciata di raperonzoli e li portò a sua moglie. Ella si fece subito un'insalata e la mangiò avidamente. Ma le era piaciuta tanto e tanto, che il giorno dopo la sua voglia era triplicata. Perchè si quietasse, l'uomo dovette andare un'altra volta nel giardino. Perciò al crepuscolo scavalcò di nuovo il muro, ma quando mise piede a terra si spaventò terribilmente, perchè vide la maga davanti a sè. "Come puoi osare," ella disse facendo gli occhiacci, "di scendere nel mio giardino e di rubarmi i raperonzoli come un ladro? Me la pagherai!" "Ah," egli rispose, "siate pietosa! A questo fui spinto da estrema necessità: mia moglie ha visto i vostri raperonzoli dalla finestra e ne ha tanta voglia che ne morirebbe se non potesse mangiarne". La collera della maga svanì ed ella disse. "Se le cose stanno come dici, ti permetterò di portar via tutti i raperonzoli che vuoi, ma ha una condizione; devi darmi il bambino che tua moglie metterà al mondo. Sarà trattato bene e io provvederò a lui come una madre". Impaurito l'uomo accettò ogni cosa, e quando la moglie partorì, apparve subito la maga, chiamò la bimba Raperonzolo e se la portò via.
il giorno dopo, sull'imbrunire, andò alla torre e gridò:
anità, e non a torto. I «papà» di quelle classicissime e indimenticabili fiabe che tutti noi ricordiamo fin dall'infanzia, come «Biancaneve», «Cappuccetto Rosso», «Il principe Ranocchio», «Cenerentola», e moltissime altre, hanno compiuto la grandiosa e difficilissima opera di raccogliere tutti i racconti e le storie proprie di quella sterminata tradizione popolare tedesca tramandate oralmente, che con tanto peso hanno contribuito alla tradizione fiabesca del nostro Continente, diventando un super classico di tutti i tempi. Ma pochi sanno la vera storia di queste famose fiabe e dopo vari ripensamenti ho deciso di scriverla, non perchè la leggano i piccini, ma che sia specchio di riflessione per i grandi. Vivere nella menzogna della classica favoletta 'C'era una volta' mi ha stancato!
coltello per trafiggere il suo cuore innocente, ella si mise a piangere e disse: "Ah, caro cacciatore, lasciami vivere! Correrò verso la foresta selvaggia e non tornerò mai più". Ed era tanto bella che il cacciatore disse, impietosito: "Và pure, povera bambina", ' le bestie feroci faran presto a divorarti ' , pensava; ma sentiva che gli si era levato un gran peso dal cuore, a non doverla uccidere. E siccome proprio allora arrivò di corsa un cinghialetto, lo sgozzò, gli tolse i polmoni e il fegato e li portò alla regina come prova. Il cuoco dovette salarli e cucinarli, e la perfida li mangiò credendo di mangiare i polmoni e il fegato di Biancaneve. Ora la povera bambina era tutta sola nel gran bosco e aveva tanta paura che badava anche alle foglie degli alberi e non sapeva che fare. Si mise a correre e corse sulle pietre aguzze e fra le spine; le bestie feroci le passavano accanto, ma senza farle alcun male. Corse finché le ressero le gambe; era quasi sera, quando vide una casettina ed entrò per riposarsi. Nella casetta tutto era piccino, ma lindo e leggiadro oltre ogni dire. C'era una tavola apparecchiata con sette piattini: ogni piattino col suo cucchiaino, e sette coltellini, sette forchettine e sette bicchierini. Lungo la parete, l'uno accanto all'altro, c'erano sette lettini, coperti di candide lenzuola. Biancaneve aveva tanta fame e tanta sete, che mangiò un po' di verdura con pane da ogni piattino, e bevve una goccia di vino da ogni bicchierino, perché non voleva portar via tutto a uno solo. Poi era cosi stanca che si sdraiò in un lettino, ma non ce n'era uno che andasse bene: o troppo lungo o troppo corto, finché il settimo fu quello giusto: si coricò, si raccomandò a Dio e si addormentò. A buio, arrivarono i padroni di casa: erano i sette nani che scavavano i minerali dai monti. Accesero le loro sette candeline e, quando la casetta fu illuminata, videro che era entrato qualcuno; perché non tutto era in ordine, come l'avevano lasciato. Il primo disse: "Chi si è seduto sulla mia seggiolina?" Il secondo: "Chi ha mangiato dal mio piattino?" Il terzo: "Chi ha preso un pò del mio panino?" Il quarto: "Chi ha mangiato un pò della mia verdura?" Il quinto: "Chi ha usato la mia forchettina?" Il sesto: "Chi ha tagliato col mio coltellino?" Il settimo: "Chi ha bevuto dal mio bicchierino?" Poi il primo si guardò intorno, vide che il suo letto era un pò ammaccato e disse: "Chi mi ha schiacciato il lettino?" Gli altri accorsero e gridarono: "Anche nel mio c'è stato qualcuno". Ma il settimo scorse nel suo letto Biancaneve addormentata. Chiamò gli altri, che accorsero e gridando di meraviglia presero le loro sette candeline e illuminarono Biancaneve. "Ah, Dio mio! ah, Dio mio!" esclamarono: "Che bella bambina!" Ed erano così felici che non la svegliarono e la lasciarono dormire nel lettino. Il settimo nano dormi coi suoi compagni, un'ora con ciascuno; e la notte passò. Al mattino, Biancaneve si svegliò e s'impaurì vedendo i sette nani. Ma essi le chiesero gentilmente: "Come ti chiami?" "Mi chiamo Biancaneve," rispose. "Come sei venuta in casa nostra?" dissero ancora i nani. Ella raccontò che la sua matrigna voleva farla uccidere, ma il cacciatore le aveva lasciato la vita ed ella aveva corso tutto il giorno, finché aveva trovato la casina. I nani dissero: "Se vuoi curare la nostra casa, cucinare, fare i letti, lavare, cucire e far la calza, e tener tutto in ordine e ben pulito, puoi rimaner con noi, e non ti mancherà nulla." "Si," disse Biancaneve, "di gran cuore". E rimase con loro. Teneva in ordine la casa; al mattino essi andavano nei monti, in cerca di minerali e d'oro, la sera tornavano, e la cena doveva esser pronta. Di giorno la fanciulla era sola. I nani l'ammonivano affettuosamente, dicendo: "Guardati dalla tua matrigna; farà presto a sapere che sei qui: non lasciar entrar nessuno." Ma la regina, persuasa di aver mangiato i polmoni e il fegato di Biancaneve, non pensava ad altro, se non ch'ella era di nuovo la prima e la più bella; andò davanti allo specchio e disse:
istere alle nozze; ma non trovò pace e dovette andare a veder la giovane regina. Entrando, vide che non si trattava d'altri che di Biancaneve e impietrì dall'orrore. Ma sulla brace erano già pronte due pantofole di ferro: quando furono incandescenti gliele portarono, ed ella fu costretta a calzare le scarpe roventi e ballarvi finché le si bruciarono miseramente i piedi e cadde a terra, morta.