Vota il mio blog

sito

sabato 10 dicembre 2011

Massima del giorno prima

"Esiste un Vangelo superiore: il Vangelo del Dolore".
 Giovanni Paolo II

venerdì 25 novembre 2011

Fiore di Scozia

Di Stefania Auci
Scozia, 1745. Qualunque cosa accada, io ti aspetterò. Con questa promessa Deirdre ha detto addio ad Alexander alla vigilia della rivolta giacobita guidata da Carlo Stuart. La guerra, tuttavia, distrugge insieme ai sogni di indipendenza degli Scozzesi anche le speranze dei due innamorati. Tornato ad Aberdeen, Alexander scopre infatti che Deirdre ha sposato un altro uomo, il lealista Sean, e che ha reciso ogni legame con il passato. Ma è davvero così? Oppure è stata costretta a quelle nozze? Alexander si ritrova ad affrontare un nemico più insidioso di quelli incontrati sul campo di battaglia. E a combattere per la sua vita e per quella della donna che ama.   

Il romanzo si lascia leggere bene, lo stile dell'autrice è cristallino, limpido, fluido e lineare.
E questo non si può negare.
La storia non presenta molto punti innovativi: c'è un lui , una lei, un nemico e un evento che li separa. Direi una struttura molto classica ( eccetto che per la Location e la ricostruzione storica accuratissima).
Piccola parentesi:quando si leggono molti romance in fondo, la cosa si sà già. Le storie a lungo andare sono tutte uguali.
La capacità di una autrice è quella di rimescolare i "soliti" ingredienti e dare una cornice diversa allo stesso quadro.

Tratto da "Anobii"

giovedì 20 ottobre 2011

Massima del giorno prima
"L'amore è la più bella di tutte le frustrazioni, perchè è
di più di quanto uno possa esprimere".
Charlie Chaplin

lunedì 10 ottobre 2011

Diario Postumo

"Lei sola percepiva i suoni dei miei silenzi.
Temevo a volte fuggisse il tempo ostile mentre parlavamo. Dopo di chè ha smarrito la memoria ed ora mi ritrovo a parlare di lei con te, tra spirali di fumo che velano la nostra commozione. Ed è questa la parte di me che trovo mutata: il sentimento, per se informe, in quest'oggi che è solo di rimpianto".
Eugenio Montale

Perchè queste parole suscita...
no in me tanta amarezza?
Mi toccano come se toccassi una comune cosa. Non mi dà emozioni particolari, ma sento una grande solitudine.
I miei perchè avranno una risposta?
D'inverno spesso vado al mare a guardare la spiaggia argentata. Solo il fatto che in quella stagione anche il colore del mare e della sabbia cambia mi da tristezza.
Perchè questo pezzo mi ricorda questo?
Cosa ho vissuto da accreditare questo capoverso all'odore del mare d'inverno, i suoi colori e il vento?

domenica 11 settembre 2011

Domenica di settembre dei Malavoglia...

La sera era triste e fredda; di tanto in tanto soffiava un buffo di tramontana, e faceva piovere una spruzzatina d'acqua fina e cheta: una di quelle sere in cui, quando si ha la barca al sicuro, colla pancia all'asciutto sulla sabbia, si gode a vedersi fumare la pentola dinanzi, col marmocchio fra le gambe, e sentire le ciabatte della donna per la casa, dietro le spalle. I fannulloni preferivano godersi all'osteria quella domenica che prometteve di durare anche il lunedì, e fin gli stipiti erano allegri della fiamma del focolare, tanto che lo zio Santoro, messo lì fuori colla mano stesa e il mento mento sui ginocchi, s'era tirato un pò in qua, per scaldarsi la schiena anche lui.
Giovanni Verga

giovedì 8 settembre 2011

I Malavoglia

I Malavoglia è il titolo del romanzo più famoso di Giovanni Verga, diventato un testo obbligatorio per l'educazione scolastica è attuale anche per chi ama i classici della nostra letteratura.
La trama
Ambientato ad Arci Trezza (vicino Catania) ,tra il 1863 e il 1878, narra in quindici capitoli la vicenda di una famiglia di pescatori, composta da padron 'Ntoni, il nonno, dal figlio Bastianazzo, marito di Maruzza, della La Longa, e dai cinque nipoti 'Ntoni, Luca, Mena, Alessi e Lia (la famiglia Malavoglia). Per migliorare le condizioni economiche della famiglia, padron 'Ntoni compra un carico di lupini da rivendere in città e si indebita con zio Crocifisso (l'usuraio del paese). Ma la "Provvidenza", la barca che trasporta il carico naufraga: Bastianazzo muore e i lupini vanno perduti.
Da questa disgrazia deriva una serie di sventure: sfuma il fidanzamento di Mena con Brasi Cipolla, figlio di un ricco proprietario terriero; Luca muore durante la battaglia di Lissa (3° guerra d'Indipendenza nel 1866); La "Provvidenza" naufraga nuovamente.
Per pagare il debito padron' Ntoni cede la casa del "nespolo" (detta così per un albero di nespole che si trova nel cortile) e la famiglia va in affitto nella casa del macellaio. Intanto Maruzza muore di colera e il giovane 'Ntoni affascinato (durante il servizio militare) dal lusso e dal "progresso" della città di Napoli va a cercare fortuna a Trieste. Ritornato più povero di prima, comincia a predicare l'uguaglianza sociale izzato da don Franco (un replicano rivoluzionario), e a frequentare l'osteria della Santuzza, in combriccola con i peggiori tipi del paese, Rocco Spatu e Cinghialetta. Intanto il brigadiere don Michele corteggia la giovane Lia. una notte 'Ntoni, sorpreso nel contrabbando di sigarette, accoltella don Michele ed è condannato a cinque anni di carcere. Lia scappa dal paese e si darà alla prostituzione a Catania. Mena, disonorata dalla sorella, rinuncia a sposare compare Alfio.
Padron 'Ntoni muore in ospedale ucciso dalla fatica e dal dolore. Solo alessi, continuando il lavoro del nonno, riesce a riscattare la casa del "nespolo" e a sposare Nunziata, una compagna d'infanzia. Uscito dal carcere 'Ntoni ritorna nella casa paterna. Ma poichè si è ribellato a quel destino e a violato le norme morali della famiglia, capisce di essere uno sradicato e, dopo l'ultimo addio, riparte per sempre.

domenica 28 agosto 2011

Massime del giorno prima
La stella cadente è il buon Dio che perde i capelli.
Anonimo

domenica 21 agosto 2011

Massime del giorno prima
I più bei versi d'amore
non servono a conquistare una donna,
ma a fasciare cioccolatini.
Fabio Fazio

lunedì 8 agosto 2011

Cuore

Il libro "Cuore" è un romanzo scritto da Edmondo De Amicis. Fu un grande successo, tanto che De Amicis divenne lo scrittore più letto d'Italia. L'ambientazione è la Torino dell'indomani dell'unità d'Italia e più precisamente tra il 1878 (anno d'incoronazione del Re Umberto I) ed il 1886 (anno della pubblicazione), il testo ha il chiaro scopo di insegnare ai giovani cittadini del Regno le virtù civili, ossia l'amore per la patria, il risoetto delle autorità e per i genitori, lo spirito di sacrificio, l'eroismo, la carità, la pietà, l'obbedienza e la sopportazione delle disgrazie.

venerdì 24 giugno 2011

Le favole di Esopo

L'usignolo e lo sparviero
Posato su un'altra quercia, un usignolo, secondo il suo solito, cantava. Lo scorse uno sparviero a corto di cibo, gli piombò addosso e se lo portò via. Mentre stava per ucciderlo lo pregava di lasciarlo andare, dicendo che esso non bastava a riempire lo stomaco di uno sparviero: doveva rivolgersi a qualche uccello più grosso, se aveva bisogno di mangiare. Ma l'altro lo interruppe, dicendo:"Bello sciocco sarei, se lasciassi andare il pasto che ho quì pronto tra le mani, per correr dietro a quello che non si vede ancora!".
Così anche tra gli uomini, stolti sono coloro che, nella speranza di beni maggiori, si lasciano sfuggire quello che hanno in mano.

domenica 19 giugno 2011

Massima del giorno prima
Quando l'amico vi confida il suo pensiero,
non temete di dire no,
nè trattenete il vostro sì.
K. Gibran

lunedì 23 maggio 2011

Le fiabe di Esopo

L'usignolo e la rondine
La rondine consigliava all'usignolo a nidificare, come lei, sotto il tetto degli uomini, e a condividere la loro dimora. Ma quello rispose: "Non desidero ravvivare la memoria delle mie antiche sventure; per questo vivo nei luoghi solitari.
Chi è stato colpito da una sventura cerca di sfuggire persino il luogo dove questa gli accadde.

sabato 21 maggio 2011

Massime del giorno prima
Noi siamo fatti della stessa sostanza di cui sono fatti i sogni
e la nostra breve vita è circondata dal sonno,
da "La tempesta".
William Shakespeare

sabato 14 maggio 2011

Raperonzolo

Ho appena guardato il film della Walt Disnay "Rapunzel", che non mi ha deluso. Divertentissimo, soprattutto 'Pascal'. Tutte le belle damigelle hanno le loro belle fatine magiche , lei invece ha un camaleonte simpaticissimo. Ma purtroppo, ancora una volta, la storia non rispecchia la verità scritta dai fratelli Grimm.
Ecco il vero testo:

Raperonzolo
C'era una volta un uomo e una donna, che già da molto tempo desideravano invano un figlio; finalmente la donna potè sperare che il buon Dio esaudisse il suo desiderio. Sul di dietro della casa c'era una finestrina, da cui si poteva guardare in un bellissimo giardino, pieno di splendidi fiori ed erbaggi; ma era cinto da un alto muro e nessuno osava entrarvi, perchè apparteneva ad una maga potentissima e temuta da tutti. Un giorno la donna stava alla finestra e guardava il giardino; e vide un'aiuola dov'erano coltivati i più bei raperonzoli; e apparivano così freschi e verdi che le fecero gola e le venne gran voglia di mangiarne. La voglia cresceva ogni giorno, ma ella sapeva di non poterla soddisfare e dimagrì paurosamente e divenne pallida e smunta. Allora il marito si spaventò e chiese: "Che hai cara moglie?" "Ah," ella rispose, "se non riesco a mangiare di quei raperonzoli che son nel giardino dietro casa nostra, morirò". Il marito, che l'amava, pensò: "Prima di lasciar morire tua moglie valle a prendere quei Raperonzoli, costi quel che costi". Perciò al crepuscolo scavalcò il muro, entrò nel giardino della maga, colse in tutta fretta una manciata di raperonzoli e li portò a sua moglie. Ella si fece subito un'insalata e la mangiò avidamente. Ma le era piaciuta tanto e tanto, che il giorno dopo la sua voglia era triplicata. Perchè si quietasse, l'uomo dovette andare un'altra volta nel giardino. Perciò al crepuscolo scavalcò di nuovo il muro, ma quando mise piede a terra si spaventò terribilmente, perchè vide la maga davanti a sè. "Come puoi osare," ella disse facendo gli occhiacci, "di scendere nel mio giardino e di rubarmi i raperonzoli come un ladro? Me la pagherai!" "Ah," egli rispose, "siate pietosa! A questo fui spinto da estrema necessità: mia moglie ha visto i vostri raperonzoli dalla finestra e ne ha tanta voglia che ne morirebbe se non potesse mangiarne". La collera della maga svanì ed ella disse. "Se le cose stanno come dici, ti permetterò di portar via tutti i raperonzoli che vuoi, ma ha una condizione; devi darmi il bambino che tua moglie metterà al mondo. Sarà trattato bene e io provvederò a lui come una madre". Impaurito l'uomo accettò ogni cosa, e quando la moglie partorì, apparve subito la maga, chiamò la bimba Raperonzolo e se la portò via.
Raperonzolo diventò la più bella bambina del mondo. Quando ebbe dodici anni, la maga la rinchiuse in una torre che sorgeva nel bosco e non aveva nè scala nè porta, ma solo una minuscola finestrina, in alto in alto. Quando la maga voleva entrare, si metteva sotto la finestra e gridava:
"Raperonzol, t'affaccia
lascia pender la tua treccia!"
Raperonzolo aveva capelli lunghi e bellissimi, sottili come l'oro filato. Quando udiva la voce della maga, si slegava le trecce, le annodava ad un cardine della finestra, ed esse ricadevano per una lunghezza di venti braccia, e la maga ci si arrampicava.
Dopo qualche anno, avvenne che il figlio del re, cavalcando per il bosco, passò vicino alla torre. Udì un canto così soave, che si fermò ad ascoltarlo: era Raperonzolo, che nella solitudine passava il tempo facendo risonar la sua voce. Il principe voleva salire da lei e cercò una porta, ma non ne trovò. Tornò a casa, ma quel canto lo aveva tanto commosso che ogni giorno andava ad ascoltarlo nel bosco. Una volta, mentre se ne stava dietro un albero, vide avvicinarsi una maga e udì gridare.
Raperonzolo, t'affaccia!
Lascia pender la tua treccia!"
Allora Raperonzolo lasciò pendere le trecce e la maga salì da lei.
"se questa è la scala per cui si sale, tenterò anch'io la mia fortuna". E il giorno dopo, sull'imbrunire, andò alla torre e gridò:
"Raperonzolo, t'affaccia,
lascia pender la tua treccia!
Subito dall'alto si snodarono i capelli e il principe sali. Dapprima Raperonzolo ebbe una gran paura quand'egli entrò, perchè i suoi occhi non avevan mai visto un uomo; ma il principe cominciò a parlare con gran cortesia e le narrò che il suo cuore era stato così turbato dal canto di lei da non lasciargli più pace: e aveva dovuto vederla. Allora Raperonzolo non ebbe più paura e quando egli le domandò se lo voleva per marito ed ella vide che era giovane e bello, pensò: "Mi amerà più della vecchia signora Gothel", disse di si e mise la mano in quella di lui; e gli disse: "Verrei ben volentieri con te, ma non so come fare a scendere. Quando vieni portami sempre una matassa di seta: la intreccerò e ne farò una scala; e quando è pronta, scendo, e tu mi prendi sul tuo cavallo". Combinarono che fino a quel momento egli sarebbe venuto tutte le sere; perchè di giorno veniva la vecchia. La maga non si accorse di nulla, finchè una volta Raperonzolo prese a dirle "Ditemi, signora Gothel, come mai siete tanto più pesante da tirar su del giovane principe? Quello è da me in un momento". "Ah, bimba sciagurata!" Gridò la maga, "Cosa mi tocca sentire! Pensavo d'averti separato di tutto il mondo e invece tu mi hai ingannata!". Furibonda, afferrò i bei capelli di Raperonzolo, li avvolse due o tre volte intorno alla mano sinistra, afferrò con la destra un paio di forbici e, tric trac, eccoli tagliati e le belle trecce giacevano a terra. E fu così spietata da portare la povera Raperonzolo in un deserto, ove dovette vivere in gran pianto e miseria.
Ma il giorno in cui aveva scacciato Raperonzolo, verso sera assicurò le trecce recise al cardine della finestra e quando arrivò il principe e gridò:
"Raperonzolo, t'affaccia,
lascia pender la tua treccia!"
le lasciò ricadere. Il principe salì, ma invece della sua diletta, trovò la maga, che lo guardava con due occhiacci velenosi. "Ah," Esclamò beffarda, "Sei venuto a prender la tua bella! Ma il bell'uccellino non è più nel nido e non canta più; il gatto l'ha preso e a te caverà gli occhi. Per te Raperonzolo è perduta, non la vedrai mai più". Il principe andò fuor di se per il dolore, e disperato saltò giù dalla torre: ebbe salva la vita, ma le spine fra cui cadde gli trafissero gli occhi. Errò, cieco, per le foreste; non mangiava che radici e baccche e non faceva che piangere e lamentarsi per la perdita della sua diletta sposa. Così per alcuni anni andò vagando miseramente; alla fine capitò nel deserto in cui Raperonzolo viveva fra gli stenti, coi due gemelli che aveva partorito, un maschio e una femmina. Egli udì una voce, e gli sembrò ben nota: si lasciò guidare da essa, e quando si avvicinò, Raperonzolo lo riconobbe e gli saltò al collo e pianse. Ma due di quelle lacrime gli inumidirono gli occhi; essi allora si schiarirono di nuovo, ed egli potè vederci come prima. La condusse nel suo regno, dove fu ricevuto con gioia; e vissero ancora a lungo felici e contenti.

venerdì 15 aprile 2011

Massime del giorno prima

"Se pensate che l'istruzione sia costosa provate con l'ignoranza".

Derek Bok

lunedì 4 aprile 2011

Le vere fiabe



Fiabe

Le fiabe dei fratelli Grimm sono ufficialmente riconosciute come Patrimonio dell'Umanità, e non a torto. I «papà» di quelle classicissime e indimenticabili fiabe che tutti noi ricordiamo fin dall'infanzia, come «Biancaneve», «Cappuccetto Rosso», «Il principe Ranocchio», «Cenerentola», e moltissime altre, hanno compiuto la grandiosa e difficilissima opera di raccogliere tutti i racconti e le storie proprie di quella sterminata tradizione popolare tedesca tramandate oralmente, che con tanto peso hanno contribuito alla tradizione fiabesca del nostro Continente, diventando un super classico di tutti i tempi. Ma pochi sanno la vera storia di queste famose fiabe e dopo vari ripensamenti ho deciso di scriverla, non perchè la leggano i piccini, ma che sia specchio di riflessione per i grandi. Vivere nella menzogna della classica favoletta 'C'era una volta' mi ha stancato!



Biancaneve


C'era una volta, nel cuor dell'inverno, mentre i fiocchi di neve cadevano dal cielo come piume, una regina che cuciva, seduta accanto a una finestra dalla cornice di ebano. E così, cucendo e alzando gli occhi per guardar la neve, si punse un dito, e caddero nella neve tre gocce di sangue. Il rosso era così bello su quel candore, ch'ella pensò: ' Avessi una bambina bianca come la neve, rossa come il sangue e daincapelli neri come il legno della finestra! ' Poco dopo diede alla luce una figlioletta bianca come la neve, rossa come il sangue e dai capelli neri come l'ebano; e la chiamarono Biancaneve. E quando nacque, la regina morì. Dopo un anno il re prese un'altra moglie: era bella, ma superba e prepotente, e non poteva sopportare che qualcuno la superasse in bellezza. Aveva uno specchio magico, e nello specchiarsi diceva:

"Dal muro, specchietto, favella:nel regno chi è la più bella?"

E lo specchio rispondeva:

"Nel regno, Maestà, tu sei quella."

Ed ella era contenta perché sapeva che lo specchio diceva la verità; Ma Biancaneve cresceva, diventava sempre più bella e a sette anni era bella come la luce del giorno e ancor più bella della regina. Una volta che la regina chiese allo specchio:

"Dal muro, specchietto, favella:nel regno chi è la più bella?"

Lo specchio rispose:

"Regina, la più bella qui sei tu, ma Biancaneve lo è molto di più."

La regina allibì e diventò verde e gialla d'invidia. Da quel momento la vista di Biancaneve la sconvolse, tanto ella odiava la bimba. E invidia e superbia crebbero come le male erbe, cosi che ella non ebbe più pace né giorno né notte. Allora chiamò un cacciatore e disse: "Porta la bambina nel bosco, non la voglio più vedere. Uccidila, e mostrami i polmoni e il fegato come prova della sua morte". Il cacciatore obbedì e condusse la bimba lontano; ma quando mosse il coltello per trafiggere il suo cuore innocente, ella si mise a piangere e disse: "Ah, caro cacciatore, lasciami vivere! Correrò verso la foresta selvaggia e non tornerò mai più". Ed era tanto bella che il cacciatore disse, impietosito: "Và pure, povera bambina", ' le bestie feroci faran presto a divorarti ' , pensava; ma sentiva che gli si era levato un gran peso dal cuore, a non doverla uccidere. E siccome proprio allora arrivò di corsa un cinghialetto, lo sgozzò, gli tolse i polmoni e il fegato e li portò alla regina come prova. Il cuoco dovette salarli e cucinarli, e la perfida li mangiò credendo di mangiare i polmoni e il fegato di Biancaneve. Ora la povera bambina era tutta sola nel gran bosco e aveva tanta paura che badava anche alle foglie degli alberi e non sapeva che fare. Si mise a correre e corse sulle pietre aguzze e fra le spine; le bestie feroci le passavano accanto, ma senza farle alcun male. Corse finché le ressero le gambe; era quasi sera, quando vide una casettina ed entrò per riposarsi. Nella casetta tutto era piccino, ma lindo e leggiadro oltre ogni dire. C'era una tavola apparecchiata con sette piattini: ogni piattino col suo cucchiaino, e sette coltellini, sette forchettine e sette bicchierini. Lungo la parete, l'uno accanto all'altro, c'erano sette lettini, coperti di candide lenzuola. Biancaneve aveva tanta fame e tanta sete, che mangiò un po' di verdura con pane da ogni piattino, e bevve una goccia di vino da ogni bicchierino, perché non voleva portar via tutto a uno solo. Poi era cosi stanca che si sdraiò in un lettino, ma non ce n'era uno che andasse bene: o troppo lungo o troppo corto, finché il settimo fu quello giusto: si coricò, si raccomandò a Dio e si addormentò. A buio, arrivarono i padroni di casa: erano i sette nani che scavavano i minerali dai monti. Accesero le loro sette candeline e, quando la casetta fu illuminata, videro che era entrato qualcuno; perché non tutto era in ordine, come l'avevano lasciato. Il primo disse: "Chi si è seduto sulla mia seggiolina?" Il secondo: "Chi ha mangiato dal mio piattino?" Il terzo: "Chi ha preso un pò del mio panino?" Il quarto: "Chi ha mangiato un pò della mia verdura?" Il quinto: "Chi ha usato la mia forchettina?" Il sesto: "Chi ha tagliato col mio coltellino?" Il settimo: "Chi ha bevuto dal mio bicchierino?" Poi il primo si guardò intorno, vide che il suo letto era un pò ammaccato e disse: "Chi mi ha schiacciato il lettino?" Gli altri accorsero e gridarono: "Anche nel mio c'è stato qualcuno". Ma il settimo scorse nel suo letto Biancaneve addormentata. Chiamò gli altri, che accorsero e gridando di meraviglia presero le loro sette candeline e illuminarono Biancaneve. "Ah, Dio mio! ah, Dio mio!" esclamarono: "Che bella bambina!" Ed erano così felici che non la svegliarono e la lasciarono dormire nel lettino. Il settimo nano dormi coi suoi compagni, un'ora con ciascuno; e la notte passò. Al mattino, Biancaneve si svegliò e s'impaurì vedendo i sette nani. Ma essi le chiesero gentilmente: "Come ti chiami?" "Mi chiamo Biancaneve," rispose. "Come sei venuta in casa nostra?" dissero ancora i nani. Ella raccontò che la sua matrigna voleva farla uccidere, ma il cacciatore le aveva lasciato la vita ed ella aveva corso tutto il giorno, finché aveva trovato la casina. I nani dissero: "Se vuoi curare la nostra casa, cucinare, fare i letti, lavare, cucire e far la calza, e tener tutto in ordine e ben pulito, puoi rimaner con noi, e non ti mancherà nulla." "Si," disse Biancaneve, "di gran cuore". E rimase con loro. Teneva in ordine la casa; al mattino essi andavano nei monti, in cerca di minerali e d'oro, la sera tornavano, e la cena doveva esser pronta. Di giorno la fanciulla era sola. I nani l'ammonivano affettuosamente, dicendo: "Guardati dalla tua matrigna; farà presto a sapere che sei qui: non lasciar entrar nessuno." Ma la regina, persuasa di aver mangiato i polmoni e il fegato di Biancaneve, non pensava ad altro, se non ch'ella era di nuovo la prima e la più bella; andò davanti allo specchio e disse:

"Dal muro, specchietto, favella:nel regno chi è la più bella?"

E lo specchio rispose:

"Regina la più bella qui sei tu;ma al di là di monti e piani, presso i sette nani, Biancaneve lo è molto di più."

La regina inorridì, perché sapeva che lo specchio non mentiva mai e si accorse che il cacciatore l'aveva ingannata e Biancaneve era ancor viva. E allora pensò di nuovo come fare ad ucciderla: perché se ella non era la più bella in tutto il paese, l'invidia non le dava requie. Pensa e ripensa, finalmente si tinse la faccia e si travestì da vecchia merciaia, in modo da rendersi del tutto irriconoscibile. Così trasformata passò i sette monti, fino alla casa dei sette nani, bussò alla porta e gridò: "Roba bella, chi compra! chi compra!" Biancaneve diede un'occhiata dalla finestra e gridò: "Buon giorno, brava donna, cos'avete da vendere?" "Roba buona, roba bella," rispose la vecchia, "stringhe di tutti i colori". E ne tirò fuori una, di seta variopinta. ' Questa brava donna posso lasciarla entrare' , pensò Biancaneve; aprì la porta e si comprò la bella stringa. "Bambina," disse la vecchia, "come sei conciata! Vieni, per una volta voglio allacciarti io come si deve". La fanciulla le si mise davanti fiduciosa e si lasciò allacciare con la stringa nuova: ma la vecchia strinse tanto e cosi rapidamente che a Biancaneve mancò il respiro e cadde come morta. "Ormai lo sei stata la più bella!" disse la regina, e corse via. Presto si fece sera e tornarono i sette nani: come si spaventarono, vedendo la loro cara Biancaneve stesa a terra, rigida, come se fosse morta! La sollevarono e, vedendo che era troppo stretta alla vita, tagliarono la stringa. Allora ella cominciò a respirare lievemente e a poco a poco si rianimò. Quando i nani udirono l'accaduto, le dissero: "La vecchia merciaia altri non era che la scellerata regina; stà in guardia, e non lasciar entrare nessuno, se non ci siamo anche noi." Ma la cattiva regina, appena arrivata a casa, andò davanti allo specchio e chiese:

"Dal muro, specchietto, favella:nel regno chi è la più bella?"

Come al solito, lo specchio rispose:

"Regina, qui la più bella sei tu;ma al di là di monti e piani presso i sette nani, Biancaneve lo è molto di più."

A queste parole, il sangue le affluì tutto al cuore dallo spavento, perché vide che Biancaneve era tornata in vita. ' Ma adesso ' pensò, ' troverò qualcosa che sarà la tua rovina '; e, siccome s'intendeva di stregoneria, preparò un pettine avvelenato. Poi si travestì e prese l'aspetto di un'altra vecchia. Passò i sette monti fino alla casa dei sette nani, bussò alla porta e gridò: "Roba bella! Roba bella!" Biancaneve guardò fuori e disse: "Andate pure, non posso lasciar entrare nessuno." "Ma guardare ti sarà permesso," disse la vecchia; tirò fuori il pettine avvelenato e lo sollevò. Alla bimba piacque tanto che si lasciò sedurre e apri la porta. Conclusa la compera, la vecchia disse: "Adesso voglio pettinarti perbene". La povera Biancaneve, di nulla sospettando, lasciò fare; ma non appena quella le mise il pettine nei capelli, il veleno agì e la fanciulla cadde priva di sensi. "Portento di bellezza!" disse la cattiva matrigna: "è finita per te!" e se ne andò. Ma per fortuna era quasi sera e i sette nani stavano per tornare. Quando videro Biancaneve giacer come morta, sospettarono subito della matrigna, cercarono e trovarono il pettine avvelenato; appena l'ebbero tolto, Biancaneve tornò in sé e narrò quel che era accaduto. Di nuovo l'ammonirono che stesse in guardia e non aprisse la porta a nessuno. A casa, la regina si mise allo specchio e disse:

"Dal muro, specchietto, favella:nel regno chi è la più bella?"

Come al solito, lo specchio rispose:

"Regina, la più bella qui sei tu;ma al di là di monti e piani, presso i sette nani, Biancaneve lo è molto di più."

A tali parole, ella rabbrividì e tremò di collera. "Biancaneve morirà!" gridò, "dovesse costarmi la vita". Andò in una stanza segreta, dove non entrava nessuno e preparò una mela velenosissima. Di fuori era bella, bianca e rossa, che invogliava solo a vederla; ma chi ne mangiava un pezzetto, doveva morire. Quando la mela fu pronta, ella si tinse il viso e si travestì da contadina, e cosi passò i sette monti fino alla casa dei sette nani. Bussò, Biancaneve si affacciò alla finestra e disse: "Non posso lasciar entrare nessuno, i sette nani me l'hanno proibito." "Non importa," rispose la contadina, "le mie mele le vendo lo stesso. Prendi, voglio regalartene una." "No," rispose Biancaneve, "non posso accettare nulla." "Hai paura del veleno?" disse la vecchia. "Guarda, la divido per metà: tu mangerai quella rossa, io quella bianca". Ma la mela era fatta con tanta arte che soltanto la metà rossa era avvelenata. Biancaneve mangiava con gli occhi la bella mela, e quando vide la contadina morderci dentro, non poté più resistere, stese la mano e prese la metà avvelenata. Ma al primo boccone cadde a terra morta. La regina l'osservò ferocemente e scoppiò a ridere, dicendo: "Bianca come la neve, rossa come il sangue, nera come l'ebano! Stavolta i nani non ti sveglieranno più ".A casa, domandò allo specchio:

"Dal muro, specchietto, favella:nel regno chi è la più bella?"

E finalmente lo specchio rispose:

"Nel regno, Maestà, tu sei quella."

Allora il suo cuore invidioso ebbe pace, se ci può esser pace per un cuore invidioso. I nani, tornando a casa, trovarono Biancaneve che giaceva a terra, e non usciva respiro dalle sue labbra ed era morta. La sollevarono, cercarono se mai ci fosse qualcosa di velenoso, le slacciarono le vesti, le pettinarono i capelli, la lavarono con acqua e vino, ma inutilmente: la cara bambina era morta e non si ridestò. La misero su un cataletto, la circondarono tutti e sette e la piansero, la piansero per tre giorni. Poi volevano sotterrarla; ma in viso, con le sue belle guance rosse, ella era ancor fresca, come se fosse viva. Dissero: "Non possiamo seppellirla dentro la nera terra," e fecero fare una bara di cristallo, perché la si potesse vedere da ogni lato, ve la deposero e vi misero sopra il suo nome, a lettere d'oro, e scrissero che era figlia di re. Poi esposero la bara sul monte, e uno di loro vi restò sempre a guardia. E anche gli animali vennero a pianger Biancaneve: prima una civetta, poi un corvo e infine una colombella. Biancaneve rimase molto, molto tempo nella bara, ma non imputridì: sembrava che dormisse, perché era bianca come la neve, rossa come il sangue e nera come l'ebano. Ma un bel giorno capitò nel bosco un principe e andò a pernottare nella casa dei nani. Vide la bara sul monte e la bella Biancaneve e lesse quel che era scritto a lettere d'oro. Allora disse ai nani: "Lasciatemi la bara; in compenso vi darò quel che volete". Ma i nani risposero: "Non la cediamo per tutto l'oro del mondo." "Regalatemela, allora," egli disse, "non posso vivere senza veder Biancaneve: voglio onorarla ed esaltarla come la cosa che mi è più cara al mondo". A sentirlo, i buoni nani s'impietosirono e gli donarono la bara. Il principe ordinò ai suoi servi di portarla sulle spalle. Ora avvenne che essi inciamparono in uno sterpo e per la scossa quel pezzo di mela avvelenata, che Biancaneve aveva trangugiato, le usci dalla gola. E poco dopo ella apri gli occhi, sollevò il coperchio e si rizzò nella bara: era tornata in vita. "Ah Dio, dove sono?" gridò. Il principe disse, pieno a gioia: "Sei con me," e le raccontò quel che era avvenuto, aggiungendo: "Ti amo sopra ogni cosa al mondo; vieni con me nel castello di mio padre, sarai la mia sposa". Biancaneve acconsenti andò con lui, e furono ordinate le nozze con gran pompa e splendore. Ma alla festa invitarono anche la perfida matrigna di Biancaneve. Indossate le sue belle vesti, ella andò allo specchio e disse:

"Dal muro, specchietto, favella:nel regno chi è la più bella?"

Lo specchio rispose: "Regina, la più bella qui sei tu; ma la sposa lo è molto di più."

La cattiva donna imprecò e il suo affanno era così grande che non poteva più dominarsi. Dapprima non voleva assistere alle nozze; ma non trovò pace e dovette andare a veder la giovane regina. Entrando, vide che non si trattava d'altri che di Biancaneve e impietrì dall'orrore. Ma sulla brace erano già pronte due pantofole di ferro: quando furono incandescenti gliele portarono, ed ella fu costretta a calzare le scarpe roventi e ballarvi finché le si bruciarono miseramente i piedi e cadde a terra, morta.

domenica 3 aprile 2011

Massima del giorno prima

"La bellezza esiste negli occhi di chi la contempla".

David Hume

domenica 20 marzo 2011

Massima del giorno prima
"Ci sono dei momenti storici che a uno gli piacerebbe poter dire: io non c'ero".
Altan

martedì 8 marzo 2011

Massima del giorno prima
"Insieme a te provo sensazioni sconosciute.
Prima non sapevo cosa fosse la noia"
Ellekappa

domenica 6 marzo 2011

Massima del giorno prima
"Non camminare davanti a me, potrei non seguirti.
Non camminare dietro di me, potrei non esserti guida.
Cammina al mio fianco e sii soltanto mio amico".
Albert Camus

lunedì 31 gennaio 2011


Massima del giorno prima
"Chi ama profondamente non invecchia mai,
neanche quando ha cent'anni.
Potrà morire di vecchiaia ma morirà giovane.
L'amore è l'ala che solleva l'anima verso l'infinito.
L'amore è il principio di tutte le cose".
Romano Battaglia

domenica 16 gennaio 2011

Massime del giorno prima
"Appartiene all'infinita bontà di Dio
il permettere che esistano dei mali,
per trarre da essi dei beni"
Tommaso D'Aquino

sabato 1 gennaio 2011

Massime del giorno prima

La vita comincia ogni mattina.

Giovannini e Garinei